Da Marzo 2020 abbiamo vissuto un inatteso esperimento di lavoro al di fuori dei tradizionali vincoli di tempo e di spazio, attivato in condizioni eccezionali a causa dell’emergenza Covid-19.
Non molto tempo fa quindi, abbiamo scoperto ed apprezzato (per la prima volta in maniera non retorica) lo Smart working.
Nonostante o forse proprio grazie all’eccezionalità di quelle condizioni, abbiamo avuto l’occasione di riflettere su una modalità di lavoro di cui fino a quel momento si era molto discusso e pochissime volte (quasi mai) praticata.
In Italia, in particolare, prima della pandemia i numeri del fenomeno erano stati molto contenuti, minori rispetto alle aspettative e rispetto a molti altri Paesi.
Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano si stimavano 570.000 smart worker ad ottobre 2019 (e questi numeri ricomprendevano anche tutti coloro che ricorrevano a questa modalità con intensità minima).
Eppure nella rappresentanza del lavoro, qualche lungimirante sindacalista dibatteva di lavoro agile già negli anni 70-80.
Il Telelavoro, infatti, fece il suo ingresso in America, negli anni 70, con un progetto di matrice Canadese che permetteva ad un gruppo di persone di lavorare presso il proprio domicilio avvalendosi delle tecnologie del tempo.
Lo scienziato americano Jack Nilles, considerato il padre del telelavoro, coniò il termine “telecommuting” (telependolarismo) per indicare la possibilità di spostare il lavoro e le informazioni piuttosto che i lavoratori.
In quegli stessi anni, alcune grandi compagnie telefoniche statunitensi e canadesi (come la AT&T e la Bell) iniziano a sperimentare il telelavoro tra i propri dipendenti con l’intento di risparmiare sui costi di gestione degli uffici.
Nell’anno 2024 si torna alle vecchie regole; quelle vecchie maniere tipiche dell’arretratezza italica.
Il 1° Aprile scorso ha segnato il ritorno dello smart working al regime ordinario regolato dalla legge n.81/2017.
Vengono quindi meno gran parte delle semplificazioni che erano ancora previste per i genitori con figli under 14 e i lavoratori fragili fino al 31 marzo 2024.
I paletti imposti prevedono che lo smart working non rientri più tra i “diritti” dei lavoratori, come durante la pandemia, ma passa tra le “modalità di esecuzione della prestazione”.
Se nell’azienda è previsto un accordo a tempo indeterminato, le imprese potranno apportare modifiche, ad esempio sulla ripartizione delle giornate da alternare in presenza e da remoto, e proporre eventualmente un accordo di modifica al lavoratore che non ha bisogno di essere comunicato al ministero del lavoro.
Se invece gli accordi individuali di smart fossero a termine, alla scadenza potranno essere rinnovati e, in questo caso, comunicati al ministero del lavoro.
La disciplina ordinaria del lavoro agile assegna una priorità a determinate categorie di lavoratori, in gran parte individuate dall’articolo 18, comma 3-bis della legge 81/2017.
Rientrare tra le categorie che la legge considera a vario titolo prioritarie nel riconoscimento dello smart working non equivale ad avere diritto al lavoro agile: se il datore di lavoro prevede il ricorso allo smart working in ambito aziendale, deve riconoscere questa modalità d’esecuzione della prestazione lavorativa in via prioritaria. Ma se l’azienda non prevede di ricorrere al lavoro agile, il lavoratore (anche se rientra tra le categorie prioritarie) non potrà pretendere di lavorare in modalità agile.
Oggi, è facile sentire diverse parole associate allo Smart Working come:
Flexible Working, Remote Working, Agile Working, Telelavoro, Home working. È perciò utile fare chiarezza su questi diversi concetti.
Flexible Working:
è il modo in cui si definisce ogni modalità di lavoro che non coincide con una programmazione classica che vede il dipendente impegnato full-time in una sede definita. Il motivo per il quale queste forme di impiego stanno avendo così tanto successo, risiede nella loro filosofia: è un modo di lavorare che si adatta ai bisogni delle persone e del business. Spesso viene accostato al concetto di lavoro che incontra le esigenze di work life balance, equilibrio fra vita personale e vita professionale.
È possibile individuare tre aree del flexible working:
Flessibilità oraria, ossia orari variabili di ingresso e/o di uscita, settimane compresse (lavorare il corrispettivo di 5 giorni lavorativi in 4), lavoro part-time, lavoro condiviso, lavoro a progetto (tempo ben definito); Flessibilità del luogo, ossia mobile working, lavoro da casa, lavoro in sedi di altre organizzazioni, lavoro in coworking o hub; Flessibilità nei contratti di lavoro, ossia lavoro come freelance, gruppo di associati o altre forme contrattuali alternative.
Remote Working:
letteralmente, non è altro che lavorare da remoto, ossia in qualunque luogo diverso dall’ufficio aziendale. Dunque, da casa, dai luoghi di coworking, dal parco o qualsiasi altro luogo che abbia Wi-Fi. Il concetto di Remote working è particolarmente legato alla tecnologia in quanto si basa su modalità lavorative in cui, il confronto e la comunicazione con colleghi e clienti avviene maggiormente attraverso piattaforme e applicativi online (es: Skype, Zoom, Hangout e altre soluzioni di social collaboration come Slack, Hibox, Asana).
Home Working:
è il lavoro da casa. La casa, non essendo uno spazio naturalmente vocato al lavoro d’ufficio, ha bisogno di essere riorganizzata, almeno in parte: l’idea di lavorare dal divano risulta essere molto allettante per i lavoratori, ma passare 8/9 ore con il laptop sulle ginocchia è decisamente sconsigliabile. Esso si differenzia principalmente dallo Smart Working perché contempla esclusivamente l’utilizzo della propria casa come luogo di lavoro.
Agile Working:
esso viene descritto come un insieme di pratiche che permettono alle organizzazioni di stabilire una forza lavoro ottimale e fornire i benefit generati da una sempre maggiore integrazione tra risorse e domanda di servizi, produttività incrementale e la capacità di attrarre i talenti. In altri termini, si tende a ottimizzare il modo di lavorare enfatizzando un approccio proattivo, riducendo gli sprechi e garantendo maggiore agilità negli approcci lavorativi e nella gestione delle relazioni. Lo Smart Working è un concetto strettamente collegato all’Agile Working, ma più completo. Il CIPD (Chartered Institute Of Personnel and Development), nel 2008, lo definisce come “un approccio all’organizzazione del lavoro volto a promuovere una maggiore efficienza ed efficacia nel raggiungimento dei risultati occupazionali attraverso una combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione, parallelamente all’ottimizzazione degli strumenti e degli ambienti di lavoro per i dipendenti”.
Lo Smart Working combina i concetti sopra descritti, in quanto esprime un nuovo approccio lavorativo che integra: comportamenti e cultura organizzativa, tecnologie e spazi di lavoro.
A chiedere un’organizzazione del lavoro che guardi al futuro sono soprattutto i giovani, Gen Z ma anche Millenials, per i quali un’organizzazione flessibile, per obiettivi, che dia la possibilità di gestire al meglio gli orari, ma anche di vivere nel luogo che si ama, senza dover per forza spendere la metà dello stipendio in affitto in una città. Per il 63% di questa generazione, lo smart working è una condizione non trattabile.
Poi c’è l’apparente paradosso dello Smart working: fa bene o fa male?
Nel dibattito di questi giorni si cerca appunto il supporto di studi empirici che evidenzino i benefici effettivi dello Smart working. Ma ai più attenti non sarà sfuggita una situazione apparentemente paradossale: i dati disponibili evidenziano effetti molto diversi, alcuni nettamente contrastanti.
Questo paradosso può essere risolto valutando due elementi. In primo luogo, è necessario considerare la varietà dei fenomeni su cui lo Smart working incide (o su cui vorremmo che incidesse).
Non tutti i risultati auspicati per questa modalità di lavoro sono mutualmente compatibili. Si configura una situazione in cui, ad esempio, gli effetti positivi di maggiore soddisfazione del lavoratore o di maggiore flessibilità percepita avvengono a scapito dell’efficacia della sua prestazione lavorativa o a scapito della sua relazione con i capi e con i colleghi.
È necessario essere consapevoli dell’esistenza di possibili trade-off fra le finalità che ci si prefigge con l’introduzione di questa modalità di lavoro. In secondo luogo, si deve considerare che i risultati dello Smart working non si manifestano ugualmente in tutte le condizioni. Per cui accade, ad esempio, che lo Smart working produca risultati positivi per alcuni tipi di lavori e non per altri, per persone con un certo tipo di esperienze e competenze e non per altre.
Gli aspetti negativi sono stati evidenziati anche dalla ricerca, diffusa ultimamente, fatta da Asus Business e condotta da Astra ricerche, che dimostra come il 47,8 % dei lavoratori lamenti un impatto negativo dello smart working sui rapporti con i colleghi, mentre il 70% lo associa a un peggioramento della propria condizione lavorativa. Aspetti negativi lamentati soprattutto dagli over 45, specie se vivono da soli o in coppia ma senza figli.
Anche i giovani ammettono che lavorare da remoto riduce le occasioni di coordinamento, di confronto e le possibilità di crescita e sviluppo professionale. Ogni trasformazione importante però, inizia da un percorso concreto con le persone, i territori e le organizzazioni.
In definitiva, servirebbe una revisione della cultura organizzativa e del manager moderno:
L’esperienza delle aziende più mature mostra, come la vera posta in palio sia l’affermarsi di un’organizzazione capace di generare autonomia e responsabilità nelle persone, riconoscerne il merito, sviluppare talenti e l’engagement verso l’innovazione e il cambiamento culturale che coinvolga tutta l’azienda.
Tutto quello precedentemente esposto viene inglobato nel concetto di change management, ossia di revisione e sintesi di vari aspetti organizzativi e funzionali necessari per definire o ridefinire la cultura aziendale.
I principi su cui si basa il cambiamento culturale sono: fiducia; autonomia; responsabilità.
Uno dei primi aspetti di fondamentale importanza, per la diffusione dello Smart Working è il passaggio da una valutazione della performance basata sul numero di ore lavorate in azienda, al riconoscimento della performance legato al raggiungimento di obiettivi prefissati.
Di conseguenza tale passaggio implica una revisione del rapporto fra il manager e lo smart worker, cioè si deve passare dal controllo tipo del lavoro, basato sulle ore lavorative ad un controllo basato sul rendimento.
È importante quindi modificare le modalità di controllo, per esempio, definendo dei precisi indicatori di valutazione, KPI (key performance indicator), questi possono aiutare molto il manager e i lavoratori soprattutto nella fase di definizione degli obiettivi.
Il manager pragmatico, orientato ai risultati e alla responsabilità delle Human Resource, deve basare il suo operato su quattro principi di leadership moderna:
Sense of community:
Un modo di relazionarsi più aperto e collaborativo della cultura funzionale e gerarchica tradizionale.
Empowerment:
Un percorso basato su una progressiva delega e responsabilizzazione tra manager e collaboratori.
Flexibility:
Adattare in modo dinamico le modalità di lavoro in funzione delle esigenze produttive dell’azienda e delle capacità di produzione della singola persona e dell’organizzazione a cui appartiene.
Virtuality:
Poter scegliere dove e quando lavorare grazie alle tecnologie scelte.
Oggi il manager viene visto sempre più come guida di un team, esso si occupa sempre meno del come svolgere un lavoro e del cosa fare, concentrandosi piuttosto sulla progettazione e definizione degli obiettivi in collaborazione con i workers.
Per quanto riguarda i lavoratori, è importante che essi avvertano un forte senso di responsabilità nei confronti degli obiettivi e dell’azienda, ciò risulta essere essenziale a fronte di un maggiore livello di autonomia concessagli dall’azienda. La responsabilità va diffusa a tutti i livelli gerarchici al fine di rendere più orizzontale l’organizzazione e stimolare i dipendenti a preformare al meglio e crescere.
In conclusione, per dirla con Richard Branson, Fondatore e presidente di Virgin:
“Ci piace dare alle persone la libertà di lavorare dove vogliono, al sicuro e nella consapevolezza di avere l’impulso e la competenza per esibirsi in modo eccellente, sia che siano alla scrivania o in cucina.”