di Dino Scanavino – Presidente CIA
A quasi due anni dall’inizio della pandemia inevitabilmente si fanno riflessioni e bilanci importanti. Per l’agricoltura è chiaramente un momento straordinario, poiché ha fatto da specchio sulla sua centralità per la sussistenza e il benessere di un intero Paese e sta creando le condizioni, attraverso la transizione ecologica europea, affinché gli agricoltori italiani possano davvero giocare un ruolo da protagonisti.
E’ il tempo delle opportunità, quello guidato dal Green Deal Ue e incentivato dal PNRR. Le strategie europee Farm to Fork e Biodiversity, rappresentano, infatti, per gli agricoltori una sfida da accogliere.
Analisi e dati ci dicono che con le nuove regole Pac e la transizione green, obiettivi come la riduzione del 30% degli antibiotici per gli animali, del 50% dei fitofarmaci e l’ambizione di un incremento del 25% di suolo coltivato, produrranno un aumento dei costi e una riduzione della produzione. Una criticità oggettiva, ma che richiama alla possibilità di poter finalmente attivare, proprio con la transizione ecologica, economie alternative, in particolare recuperando il potenziale delle aree interne del Paese, puntando sul recupero di quelle produzioni per le quali siamo a oggi solo importatori. Rivitalizzare le aree rurali d’Italia, lungo l’Appennino, dalla Bocche di Cadibona ai Monti Nebrodi, dove vivono più di 11 milioni di persone, significa dare un futuro credibile a questo Paese. E’ chiaro che va dipanato il tema delle rinnovabili, del consumo di suolo e dell’emergenza fauna selvatica che di fatto sta impedendo proprio al mondo rurale di essere produttivo, perché gli allevatori sono in balia dei predatori e i limiti allo sviluppo, pensiamo a quelli infrastrutturali, sono ancora troppo influenti sulle scelte imprenditoriali del comparto agricolo.
La transizione ecologica deve, dunque, far propria la missione di una rigenerazione dei sistemi produttivi delle nostre zone rurali, non solo da un punto di vista economico e ambientale, ma anche sociale, culturale, antropologico. Con il progetto di Cia-Agricoltori Italiani “Il Paese che Vogliamo” in tempi, quasi non sospetti, nel 2019, abbiamo messo nero su bianco quelle che consideriamo le azioni prioritarie per cambiare l’Italia e su cui lavorare concretamente grazie al confronto già avviato tra istituzioni, enti, associazioni e cittadini a tutti i livelli, dal locale al nazionale. Non a caso, il documento guida, individua nelle aree rurali il punto di svolta e richiama l’attenzione sull’urgenza di un cambio di passo decisivo, su criticità come la gestione della fauna selvatica e l’ammodernamento delle infrastrutture fisiche e digitali. Il PNRR deve tenerne assolutamente conto e intervenire, in parallelo, sul piano degli investimenti e degli incentivi per accelerare la crescita delle imprese agricole, grazie a innovazione tecnologica, ricerca e sua applicazione, evitando di fermarsi proprio all’ultimo miglio, quello della restituzione e della condivisione con i produttori agricoli. Inoltre, per essere competitivi come Paese e Made in Italy – dobbiamo recuperare una contrazione sull’export del 2,5% – occorre qualificare e promuovere non solo le produzioni agroalimentari, ma anche il territorio e la sua grande forza comunicativa.
Infine, in questa fase congiunturale, è necessario un passaggio della riflessione sulla rivoluzione in atto e a trazione bio, uno dei driver principali per la transizione del sistema agroalimentare verso la sostenibilità secondo il Green Deal Ue. L’Italia è leader del comparto in Europa con 80 mila operatori e 2 milioni di ettari coltivati. I consumi interni sono cresciuti del 5% rispetto al 2020 e il carrello della spesa bio degli italiani si è attestato su 4,6 miliardi di euro. Nell’export, poi, l’Italia è la seconda nazione al mondo (la prima in Ue) e il bio rappresenta il 6% delle esportazioni agroalimentari. Eppure, a livello nazionale, il settore del biologico rischia un arretramento rispetto ai Paesi competitor europei, sempre più agguerriti, perché non riesce ancora a dotarsi di una legge nazionale. La norma c’è, ha avuto l’ok del Senato (con un solo voto contrario) e attende solo l’approvazione definitiva alla Camera. Il Parlamento calendarizzi e approvi, quanto prima, questa legge. Se saranno necessari adeguamenti, si potranno poi attivare i canali per le modifiche. La politica renda pienamente applicabili i principi dell’agroecologia per consentire al biologico italiano di continuare a produrre valore per il Paese, recependo le esigenze dei cittadini e in coerenza con le diverse strategie europee.