Enpaia resta sempre a fianco delle aziende e dei lavoratori iscritti. Anche nei momenti più difficili come nel caso delle recenti alluvioni in Emilia Romagna e nelle Marche. Con azioni concrete, come la decisione assunta all’unanimità dal Consiglio di Amministrazione di sospendere temporaneamente il versamento dei contributi per le aziende e i lavoratori iscritti. Una scelta apprezzata nei comuni colpiti dall’alluvione, così come è stata apprezzata la grande solidarietà, arrivata da tutta Italia, alla popolazione locale che fin da subito si è rimboccata le maniche ed è scesa in strada accanto alla Protezione Civile per far fronte al disastro.
Da romagnolo, protagonista di quelle giornate, profondamente grato per la solidarietà ricevuta, ripercorro con alcune considerazioni quei giorni.
Si parla subito di “Massima allerta”, termine mai usato da noi, ma la situazione è oltre ogni più nera aspettativa. Tanti fiumi sono in piena, ma il peggio è in collina: “preparatevi – viene annunciato – potrebbero esondare diversi fiumi, anche importanti.” Da questo post di Emilia Romagna Meteo, pubblicato il 16 maggio, si capiva quello che di lì a poco sarebbe successo. Le avvisaglie c’erano tutte. L’allerta rossa della regione andava nella stessa direzione. L’intenso vortice depressionario di origine atlantica, alimentato da un ciclone mediterraneo ha creato condizioni atmosferiche che non avrebbero dato scampo. Già le piogge del 2 maggio avevano fatto esondare alcuni fiumi nel ravennate e dopo mesi di siccità, il suolo era ormai saturo e non più in grado di assorbire acqua. L’evento atteso non poteva che provocare una catastrofe. E così è stato: 23 fiumi esondati, almeno 500 frane di cui gran parte disastrose, 19 vittime, 36.000 sfollati, danni ingenti per le popolazioni, le abitazioni, le infrastrutture, le attività economiche e in particolare l’agricoltura. Questo il triste bilancio per la zona più colpita la Romagna e per le zone limitrofe delle province confinanti.
E’ difficile immaginare la quantità di pioggia caduta. Mediamente oltre 500 mm in 15 giorni rispetto agli 850 mm di media annuali. Oltre 400 milioni di metri cubi d’acqua caduta sui territori colpiti. Un evento estremo epocale con ricadute, seppur prevedibili, impossibili da contrastare. Sindaci e Protezione Civile sono stati particolarmente attivi diffondendo con largo anticipo le allerte meteo e le ordinanze di evacuazione nelle aree più a rischio, evitando un bilancio delle vittime che avrebbe potuto assumere numeri ancor più rilevanti. Ed è del tutto inutile oggi attribuire colpe a Sindaci, argini, flora e fauna. Eventi di questa portata non rientrano nelle casistiche dell’ordinaria gestione. Dobbiamo piuttosto riflettere su quanto è avvenuto in questi anni, al modello di sviluppo realizzato e alle conseguenze determinate. L’industrializzazione del dopoguerra ha visto l’abbandono graduale dell’agricoltura nelle zone collinari e montane. Sono aumentate le zone boschive e i paesi abbandonati. E’ venuta sempre più a mancare la cura del territorio. Flora e fauna senza controllo si sono sviluppate a dismisura e gli Enti delle comunità montane e le attività forestali troppe volte sono state considerate solo un costo. I fiumi arginali di carattere torrentizio sono ormai diventati delle “foreste”, habitat ottimali per la proliferazione di molte specie animali non sempre utili alla tenuta degli argini. Se le statistiche indicano che questi eventi estremi tendono a ripetersi con cadenza secolare o bisecolare, oggi dobbiamo affrontare anche le ulteriori ricadute del nostro modello di sviluppo. E dobbiamo fare i conti con il cambiamento climatico. I meteorologi ci dicono che in futuro sarà sempre più caldo. I dati statistici degli ultimi 50 anni dimostrano chiaramente l’innalzamento graduale delle temperature. Nell’ultimo decennio in Italia si sono verificate per anni consecutivi le temperature medie più alte degli ultimi secoli. Pur mettendo in pratica tutte le migliori pratiche per contenere le emissioni clima-alteranti si stima che gli effetti di queste nei decenni passati possano provocare comunque un ulteriore aumento delle temperature medie di circa mezzo grado nei prossimi 20 anni. Senza voler considerare gli scenari peggiori previsti per fine secolo, oggi dobbiamo fare i conti con una realtà nel nostro Paese che presenta un aumento delle temperature medie statisticamente dimostrato. Ciò determina lunghi periodi siccitosi con conseguente aumento di piogge violente. Le cosiddette bombe d’acqua diventano sempre più frequenti e gli eventi estremi prima classificati “rari” rischiano di perdere tale caratteristica. Era già avvenuto nel 1939 in Romagna con 350 millimetri di pioggia. Le cronache del tempo descrivono una situazione simile. Allora i territori dell’Appennino erano abitati con un’agricoltura assai diffusa e la cementificazione in pianura ancora lontana. La pianura padana è pur sempre di natura alluvionale e nelle zone più prossime al mare terra di bonifica ed esposta per sua natura a rischio idrogeologico. Ma un conto è affrontare un evento estremo atteso con cadenza secolare, un altro è fare i conti con la realtà dei giorni nostri. Temperature medie in aumento, periodi di siccità alternati a piogge violente ed eventi climatici estremi, richiedono interventi urgenti per evitare nuove catastrofi, salvaguardare il territorio e le produzioni agricole.
Altra questione da considerare sarà la carenza d’acqua in alcuni periodi. Anche se le statistiche dimostrano che la quantità media di pioggia annua non è diminuita nel tempo, ci troviamo di fronte ad una frequenza dei giorni di pioggia sempre più ridotta. Cade la stessa acqua, ma con maggior violenza e concentrata in pochi episodi; non viene assorbita dai terreni incolti riversandosi velocemente a valle e non alimenta le falde; e scorrendo disordinatamente a mare provoca enormi danni nel suo percorso e la perdita di milioni di metri cubi di risorsa idrica preziosa. Bisogna cambiare passo! Non può continuare ad essere lo stato di calamità la soluzione al problema. Il paradigma di sviluppo va cambiato con azioni coerenti con una transizione ecologica in grado di salvaguardare i territori, il lavoro e le future generazioni. Bisogna partire dalla manutenzione dei territori abbandonati perché non possano più essere considerati tali. Le attività dei forestali e la cura dei territori promuovendo e incentivando un ritorno all’agricoltura sono realtà ineludibili. Servono interventi legislativi e risorse a sostegno per il governo dei territori e azioni di recupero delle attività della montagna. Ma occorre anche la realizzazione di aree di laminazione nei punti critici individuati e di bacini di accumulo per evitare lo spreco dell’acqua. Particolarmente interessante il progetto presentato dai Consorzi di Bonifica per la realizzazione di 10.000 bacini agricoli ben integrati nel contesto naturale delle aree collinari. E’ ora di rivedere, non più a parole, ma nei fatti le politiche di sviluppo a partire dal consumo del territorio. Basta a nuove cementificazioni, alle speculazioni edilizie, al cambio d’uso di terreni agricoli. Basta considerare i fiumi solo per l’aspetto paesaggistico ma bensì per quella che è la loro funzione: favorire il deflusso più veloce possibile dell’acqua verso la foce senza ostacoli, con argini manutenuti e monitorati, possibilmente a tappeto erboso anche a scapito di una flora troppo invasiva e di una fauna di roditori che provocano l’accumulo di detriti e la tenuta degli argini e ostacolano il deflusso dei corsi d’acqua: fiumi, canali, scoli consortili e fossi. Insomma, servono nuove politiche coraggiose e risorse per gli interventi necessari a salvaguardare il territorio e le persone irreggimentando l’acqua, risorsa indispensabile per la vita umana e l’attività agricola.21