di Giovanni Mininni, Segretario Generale Flai Cgil
Mai come negli ultimi anni il tema della produzione di cibo e delle ricadute in termini ambientali che questa comporta è stato dibattuto. Da un lato, senza dubbio, questo è stato determinato dal risveglio delle giovani generazioni, con il movimento Friday for future ed il piglio di una giovanissima leader come Greta Thunberg, che hanno riportato all’attenzione dell’opinione pubblica e della politica la centralità dei temi ambientali e la necessità inderogabile di affrontare il problema del cambiamento climatico e dello spreco di risorse energetiche. Dall’altro, lo scoppio della pandemia ha messo in evidenza la necessità di ripensare il modello di sviluppo, i mercati e le produzioni con modalità diverse da quelle dello sfruttamento e della globalizzazione. Il concorso di questi elementi ha posto alla politica in modo perentorio l’urgenza di intervenire per ridisegnare un quadro normativo e programmatico che avesse alla base la sostenibilità ambientale, la riduzione di emissione di gas e sostanze nocive, la riduzione di pesticidi, la spinta verso l’utilizzo di energie rinnovabili e pulite. Possiamo dire, quindi, che il New Green Deal, la strategia A Farm to fork e la PAC 2021-2027 rappresentano la risposta a queste sollecitazioni e gli strumenti di cui l’Europa si è dotata per affrontare queste sfide.
L’’Italia ha declinato nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza le strategie europee e le politiche necessarie al rilancio del Paese dopo la crisi pandemica, per stimolare la transizione ecologica e favorire un cambiamento strutturale del sistema economico. Un cambiamento in cui il carattere sociale delle misure, con il contrasto alle disuguaglianze territoriali, di genere e tra generazioni, rappresenta un punto qualificante e dirimente per determinare davvero una trasformazione del sistema produttivo e, in ultima analisi, della nostra stessa società. Il tema della sicurezza sul lavoro in agricoltura, pur non rientrando tra quelli espressamente indicati nelle politiche europee citate, di fatto è un elemento sotteso a questo nuovo impianto programmatico ed è imprescindibile affinché esso possa davvero realizzarsi. La stessa Agenda 2030 delle Nazioni Unite pone il lavoro dignitoso tra i 17 obiettivi da perseguire per fare dello sviluppo sostenibile la carta vincente per il prossimo futuro.
Per parte nostra siamo convinti che la sostenibilità ambientale non possa realizzarsi in assenza di sostenibilità sociale, ovvero laddove non si applicano i contratti e le condizioni di lavoro sono molto al di sotto degli standard minimi indicati dalle leggi. Già, perché la sostenibilità sociale è legata indissolubilmente al lavoro di qualità. Prendiamo a riferimento la Legge 199 del 2016 contro lo sfruttamento ed il caporalato: tra gli indici di sfruttamento elencati come indicatori della condizione dei lavoratori è esplicitamente inserito il rispetto delle norme sulla sicurezza e l’igiene nei luoghi di lavoro. La Rete del lavoro agricolo di qualità, con le sue Sezioni territoriali, rappresenta di fatto l’impalcatura attraverso cui garantire uno “standard minimo di qualità” ai lavoratori nello svolgimento del proprio lavoro, creando nel contempo le condizioni affinché le aziende operino nella legalità e nel rispetto delle norme. Per standard minimo intendiamo trasparenza nel reclutamento della manodopera attraverso un incontro tra domanda e d’offerta di lavoro in luogo pubblico, applicazione del contratto collettivo e dunque anche rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza, accesso ai servizi, trasporti, alloggi dignitosi. E’ evidentemente impossibile che ad un lavoratore sia garantito un luogo di lavoro sano ed un mantenimento di standard di sicurezza adeguati in assenza del rispetto della contrattazione collettiva in agricoltura. Dunque, in questo senso, la mancata estensione della Rete del lavoro agricolo di qualità e lo scarsissimo numero di Sezioni territoriali sino ad ora insediate – 22 con l’ultima a Caserta – non solo sta determinando una scarsa applicazione della parte preventiva della Legge 199 del 2016, ma è anche l’ennesima occasione mancata per affrontare il tema della salute e sicurezza in agricoltura.
Il 29 marzo 2022 è stato firmato il Decreto ministeriale n. 55/2022 del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, in cui si stabilisce la ripartizione di 200 milioni di euro assegnati alle Amministrazioni locali, tramite il PNRR, per il superamento degli insediamenti abusivi dei braccianti agricoli a favore del recupero di soluzioni alloggiative dignitose per i lavoratori del settore agricolo. Ma siamo a maggio, a ridosso dell’inizio delle campagne di raccolta, quanti di questi 200 milioni sono già operativi? Quanti lavoratori agricoli vedranno migliorata la loro condizione di vita e di lavoro quest’anno?
A questo aggiungiamo un’altra riflessione. La centralità del tema salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è emersa in modo drammaticamente dirompente durate la pandemia, quando i lavoratori dell’agricoltura e dell’industria alimentare sono divenuti essenziali perché produttori di un bene primario come il cibo. In quella difficilissima fase abbiamo dovuto affrontare, per la prima volta nel nostro lavoro, anche la sfida di misurarci con il mantenimento delle produzioni, da un lato, e la salvaguardia della salute dei lavoratori dall’altro, mettendo in atto un nuovo modello di organizzazione del lavoro adeguato alla situazione emergenziale. Ne sono nati protocolli specifici negli stabilimenti dell’industria alimentare, che hanno tenuto in considerazione le restrizioni imposte dai decreti per il contenimento della diffusione del virus, al fine di preservare la salute dei lavoratori dipendenti di quelle imprese, ed hanno permesso nel contempo di proseguire l’attività lavorativa. Più difficile è stato, invece, sottoscrivere protocolli similari in agricoltura, dove la continuità dei processi lavorativi è stata a volte anteposta alla salvaguardia della salute dei lavoratori: se è vero che il distanziamento nei campi era forse più facile, altrettanto vero è che moltissimi lavoratori hanno continuato ad essere “invisibili” e dunque privi anche dei più elementari dispositivi di protezione come la mascherina. Pur consapevoli che la stragrande maggioranza delle imprese agricole sono sane ed operano nella legalità, non possiamo però tacere sulla presenza, non marginale, di imprese che hanno lucrato e lucrano sulla pelle di lavoratori privati di diritti e che, in quella specifica congiuntura, sono stati deliberatamente messi nella condizione di lavorare rischiando il contagio e dunque la propria salute. La pandemia ha accentuato, laddove già esistenti, questi processi ed il tema della salute non ha trovato in agricoltura lo stesso diritto di cittadinanza che invece ha avuto e continua ad avere in altri settori. Occorre uno forzo collettivo in tal senso, teso a favorire rapidamente anzitutto l’istituzione delle Sezioni territoriali, ma anche una maggiore presa di coscienza delle imprese nella opportunità offerta dall’iscrizione alla Rete del lavoro agricolo di qualità. In questo senso, forse, andrebbe avviata una riflessione anche tra le Associazioni datoriali, affinché si rendano maggiormente protagoniste di un’opera di moral persuasion con le loro associate.
Occorre una presa di coscienza che la sicurezza in agricoltura non è tema marginale. Lo dimostrano gli ultimi dati resi noti dall’INAIL per il 2021, dove ancora il settore primario detiene il triste primato di settore tra i più esposti ad infortuni sul lavoro mortali, complice anche la vetustà e l’inadeguatezza dei mezzi agricoli: il ribaltamento del mezzo è ancora la prima causa di infortunio mortale in agricoltura. 500 milioni di euro sono previsti nel PNRR per l’innovazione e la meccanizzazione nel settore agricolo, a riprova dell’urgenza di affrontare il tema, e ci auguriamo che siano resi operativi in breve tempo. D’altra parte la stessa PAC ha assunto una veste straordinariamente innovativa in questo senso, con l’introduzione, grazie anche alla pressione da noi esercitata, della condizionalità sociale come requisito fondamentale per l’accesso agli aiuti comunitari. Il terzo pilastro, quello della condizionalità appunto, richiama espressamente il rispetto anche di alcune Direttive europee incentrate sul tema della sicurezza come parametri nel calcolo delle percentuali di riduzione dei finanziamenti ai Paesi aderenti. La Direttiva 89/391/CE, per esempio, che riguarda l’obbligo dei datori di lavoro di rispettare tutte le norme su salute e sicurezza, è tra quelle indicate come riferimento nella condizionalità sociale, solo per citarne una. Le norme dunque ci sono, così come gli investimenti, occorre invece che il tema sicurezza in agricoltura trovi finalmente il suo ruolo da protagonista nell’attività quotidiana in azienda e non venga relegato a noioso adempimento burocratico, perché ne va della vita delle persone. Il futuro green passa dalla sicurezza sul lavoro in agricoltura.