Il tema delle trasformazioni tecnologiche, oggi, porta inevitabilmente a ragionare soprattutto sull’intelligenza artificiale e su quali saranno le sue future molteplici prospettive di sviluppo. Tra le prime domande che ci siamo voluti porre in questi ultimi anni, ce ne sono anzitutto due: la prima, è se l’IA potrà sostituire totalmente l’uomo nei processi produttivi e gestionali e, in caso affermativo, con quali tempi e in quali mansioni; mentre la seconda riguarda quali nuove esclusioni dal mercato del lavoro apporteranno i processi di rapida innovazione che stiamo conoscendo.
Ovviamente dare risposte nette è cosa complessa. Potremmo dire che sì, la tecnologia potrà incidere anche pesantemente sull’occupazione; però no, non potrà sostituire l’uomo. Molto dipenderà dalle nostre azioni, dalle scelte della politica, dalle visioni che metteranno in campo parti sociali, imprese, governi e istituzioni.
Va detto che nei nostri settori l’impatto delle nuove tecnologie sta già arrivando. Ad esempio, abbiamo prime avvisaglie anche in grandi gruppi dell’industria alimentare, dove si valutano riduzioni del personale in vista dell’introduzione di nuove tecnologie legate all’IA. Per il momento le professioni che risultano più a rischio sono quelle delle aree commerciali e finanziarie, meno quelle legate alla manualità. Dunque non abbiamo previsioni del tutto rosee. A questo dovremmo aggiungere che stiamo già conoscendo aspetti anche molto inquietanti dell’IA, che può avere effetti discriminatori e può finire nelle mani sbagliate, come quelle di certi regimi antidemocratici.
Poi abbiamo anche esempi positivi, come quelli legati alla maggiore produttività o alla maggiore sicurezza sul lavoro. È noto ad esempio che in agricoltura abbiamo molte realtà sperimentali, in alcuni casi già applicabili o addirittura in uso in diverse aziende, con cui la robotizzazione avanzata comporterà per i lavoratori una netta riduzione del rischio di infortuni, ad esempio con macchinari teleguidati, o a guida autonoma, che potranno operare nelle aree più scoscese o in certe condizioni climatiche. Inoltre un contributo positivo potrà giungere anche nell’applicazione dell’IA alle catene del controllo e della tracciabilità dei prodotti agroalimentari, con risvolti positivi in termini di sicurezza alimentare, contrasto alla concorrenza sleale, trasparenza dei costi di produzione e dei prezzi al consumatore.
Tutto questo potrà favorire l’aumento sia della sicurezza che della produttività e di conseguenza dei profitti e dei salari. Una conseguenza non scontata, ovviamente, in cui a fare la differenza sarà il livello di protagonismo del sindacato e dei lavoratori. Perché anzitutto questo scenario va affrontato con più partecipazione, riconoscendo pienamente il diritto alla contrattazione collettiva e valorizzando la contrattazione nazionale e decentrata, come invita a fare anche l’Ue. Il sindacato deve stare nei processi decisionali per costruire, insieme alle imprese e alle istituzioni, algoritmi con condizionalità etiche e sociali. Quello che dobbiamo fare, è utilizzare l’IA per aumentare produttività, sicurezza e benessere lavorativo: e per farlo bisogna valorizzare la partecipazione, anche realizzando la proposta legislativa promossa dalla Cisl e approdata in Parlamento, su cui auspichiamo una convergenza di tutte le forze politiche.
Il sindacato deve raccogliere la sfida del cambiamento per governarlo su una crescita equa, nuove tutele e diritti fondamentali, salari più alti, maggiore democrazia economica. La grande sfida, che come Fai-Cisl stiamo già affrontando anzitutto con alcuni strumenti contrattuali, sarà quella delle competenze, che andranno implementate sia per le vecchie professionalità che per quelle nuove, in parte imprevedibili, che nasceranno nei prossimi 30 anni. Occorre un forte riallineamento delle competenze, come avvenuto con la prima rivoluzione industriale e come accaduto in ogni fase storica di grande trasformazione produttiva e sociale.
Vanno superati i pregiudizi, gli steccati ideologici del Novecento. Il lavoro è sempre stato concepito come mezzo di produzione accanto al capitale, in realtà c’è un valore insito nel lavoro umano che rende questo fattore differente da un semplice mezzo. Non è un caso se il lavoro competente è diventato meno reperibile: è un fattore molto meno rintracciabile rispetto a mezzi e capitali, proprio perché è un fattore umano, si lega dunque al valore della persona, alla sua centralità. Tutto questo richiede un cambio di paradigma, che riconosca la centralità della persona e aiuti a governare meglio i cambiamenti senza subirli. Un cambiamento che come Fai-Cisl stiamo coltivando da tempo, con tutti gli strumenti a disposizione, in nome di un nuovo Umanesimo del Lavoro.