Le politiche agricole europee e i limiti alle coltivazioni modellano le produzioni sia per la qualità sia per la quantità e molti paesi europei sono costretti a dipendere dalle importazioni, solitamente con prodotti che hanno un minor costo di produzione grazie all’uso di pesticidi o diserbanti vietati in Europa e, talvolta, per lo sfruttamento del lavoro minorile o del lavoro forzato.
Il risultato di questo meccanismo, oltre contrastare con i principi democratici e le leggi, porta a una crisi del patrimonio agroalimentare europeo, una concorrenza sleale che deprime i prezzi pagati ai produttori, danni alla salute dei consumatori e rischi per la sicurezza alimentare come quando nel mondo si sono chiuse le frontiere per la pandemia da Covid-19.
Le recenti proteste degli agricoltori in tutta Europa – con al centro delle rivendicazioni quella di vedere il proprio lavoro retribuito al giusto valore, mentre il 18% degli agricoltori oggi vive al di sotto della soglia di povertà – hanno indotto alcuni Paesi a pensare leggi a tutela del settore e l’Unione europea a modificare la Pac in corso di attuazione.
Mediamente il reddito in 30 anni è diminuito del 40%, invece i costi di produzione e i livelli di indebitamento continuano a crescere.
In Francia in 30 anni la voce “energia e lubrificanti” è aumentata del 30%, la voce “manutenzione attrezzature” del 36% e la voce “servizi ai lavori agricoli” del 75%, senza contare i rischi climatici si che si aggiungono a questi oneri sia attraverso il costo delle perdite dei raccolti sia attraverso il costo dell’assicurazione, che è diventata essenziale.
A questa crisi delle aziende agricole europee si aggiunge la necessità di rinnovamento delle generazioni agricole e di rafforzamento dell’attrattiva alle professioni agricole che implica una retribuzione dignitosa, un prezzo dei prodotti remunerativo.
La fragilità del reddito degli agricoltori è tanto più ingiustificata in quanto i profitti realizzati dagli altri anelli della catena sono sempre più elevati. In Francia, secondo una relazione dell’Assemblea nazionale, “tra il quarto trimestre del 2021 e il secondo trimestre del 2023, il tasso di margine delle aziende dell’industria agroalimentare è aumentato del 71%, passando dal 28% al 48,5%. In un anno i profitti del settore sono passati da 3,1 miliardi a 7 miliardi di euro. Ciò è totalmente incomprensibile. Mentre alla fine della catena i francesi faticano ad accedere a un’alimentazione sana, e a monte i produttori sono schiacciati, le multinazionali dell’agroalimentare e i colossi della distribuzione si riempiono le tasche”.
Servono quindi misure strutturali a difesa dell’agricoltura europea, degli agricoltori e della stessa sovranità alimentare.
Il Parlamento italiano il 28 febbraio 2024 ha approvato la legge n. 24 che istituisce la figura di agricoltore difensore dell’ambiente e la giornata dell’agricoltura la seconda domenica di novembre.
Sempre nel mese di febbraio il Parlamento italiano ha iniziato la discussione della proposta di legge n. 851 “Modifiche al decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 198, in materia di considerazione dei costi di produzione per la fissazione dei prezzi nei contratti di cessione dei prodotti agroalimentari, e delega al Governo per la disciplina delle filiere di qualità nel sistema di produzione, importazione e distribuzione dei prodotti agroalimentari”.
Anche in Francia il Parlamento ha presentato la proposta di legge, n. 2231 “visant à garantir un revenu digne aux agriculteurs et à accompagner la transition agricole” per fissare un prezzo minimo di acquisto dei prodotti agricoli che tenga conto dei costi di produzione in ciascun settore, per la creazione di un fondo dedicato alla transizione agroecologica, e di un contributo aggiuntivo, pari al 10% dei profitti generati dalle industrie agroalimentari, dei prodotti fitosanitari e dei fertilizzanti sintetici: una sorta di dividendo ecologico che sosterrà lo sforzo di transizione intrapreso dagli agricoltori.
Resta centrale per il settore agricolo il problema dei prezzi non remunerativi dei prodotti in relazione all’attività speculativa e all’alta volatilità delle quotazioni.
Il grano duro ha evidenziato una notevole variazione dei prezzi anche in conseguenza dell’instabile situazione geo-politica internazionale e delle enormi quantità che arrivano da Paesi esteri.
Da oltre 500 euro la tonnellata tra fine 2021 e metà 2022, le quotazioni medie sono precipitate sotto 350 €/t a luglio 2023, e dopo una lieve risalita nei primi mesi del 2024, a marzo sono crollati e le principali borse merci italiane, Bologna e Foggia, hanno riportato prezzi tra i 300-325 euro per tonnellata. Il grano tenero, quotato a prezzi molto più bassi è in discesa a 200 euro la tonnellata.
In Italia, nel 2023, risultano più che raddoppiate le importazioni di grano e, dal Canada – dove è trattato con glifosato anche in preraccolta, modalità da noi vietata –, sono arrivati oltre il miliardo di chili. Per questo il Canada resta il primo fornitore, ma la vera invasione che ha segnato il 2023 è quella di grano russo e turco aumentati rispettivamente del +1164% e del +798% secondo un’analisi pubblicata dal Centro Studi Divulga. Un fenomeno mai registrato nella storia del nostro Paese, che ha fatto calare in maniera significativa le quotazioni del prodotto italiano.
Si aggiungono poi gli accordi commerciali di libero scambio europei dal Mercorsur al Ceta che portano in Italia prodotti coltivati spesso con l’uso di pesticidi, erbicidi, talvolta usati anche in preraccolta, vietati nell’Unione Europea. Il riso asiatico – coltivato utilizzando il triciclazolo, potente pesticida vietato nell’Unione Europea dal 2016 – entra in Italia grazie al dazio zero; le lenticchie canadesi fatte seccare con il glifosate rappresentano i 2/3 del totale importato nel nostro Paese.
Sembra davvero un attacco al patrimonio agroalimentare europeo che fa calare le produzioni agricole degli Stati membri spingendo il deficit alimentare: l’Italia è arrivata a produrre, secondo i dati Coldiretti, appena il 36% del grano tenero che le serve, il 53% del mais, il 51% della carne bovina, il 56% del grano duro per la pasta, il 73% dell’orzo, il 63% della carne di maiale e i salumi, il 49% della carne di capra e pecora mentre per latte e formaggi si arriva all’84% di autoapprovvigionamento.
Per quanto riguarda il grano ucraino, per evitare che l’afflusso di grandi quantità di cereali sul mercato europeo facessero crollare le quotazioni, con il prezzo pagato agli agricoltori italiani che rischia di essere al di sotto dei costi di produzione, la Coldiretti ha proposto di utilizzare parte dei fondi Ue messi a disposizione per l’emergenza ucraina, per acquistare e stoccare in magazzini europei i prodotti cerealicoli e, più in generale, prodotti agricoli da destinare ai Paesi colpiti da gravi emergenze alimentari. In questo modo si eviterebbe la destabilizzazione del mercato comunitario e al tempo stesso si potrebbe valorizzare il ruolo geopolitico dell’Europa nella lotta all’insicurezza alimentare di aree, sulle quali cresce sempre più l’influenza di Paesi come la Russia.
In un’intervista rilasciata lunedì 4 marzo a Euronews, il rappresentante commerciale dell’Ucraina e vice ministro dell’Economia, Taras Kachka, ha dichiarato che il suo governo è impegnato in un “dialogo molto costruttivo” con Varsavia per affrontare la controversia sulle importazioni di grano in Europa via Polonia.
L’annosa disputa sulle importazioni agroalimentari ucraine, che secondo gli agricoltori polacchi inondano i loro mercati e deprimono i prezzi, si è intensificata nelle ultime settimane con proteste in città e regioni della Polonia.
I tentativi di mediazione dell’Ue – con un accordo temporaneo che permette ai cereali ucraini di transitare nei Paesi vicini senza rimanere in quei mercati – sono stati vanificati dai divieti unilaterali di Polonia, Ungheria e Slovacchia su alcune importazioni agroalimentari ucraine.
Secondo Kachka, gli agricoltori a volte si concentrano su prodotti ucraini che non necessariamente danneggiano i loro mercati, come il pollame: “Esportiamo in Polonia solo 4.000 tonnellate (di pollame) e acquistiamo dalla Polonia 40.000 tonnellate di pollame, quindi siamo un importatore netto”.
Le esportazioni dall’Ucraina alla Polonia sono state pari a 1,6 miliardi di dollari (1,5 miliardi di euro) nel primo trimestre del 2023, mentre le importazioni dalla Polonia all’Ucraina sono state pari a 106 miliardi di dollari (97 miliardi di euro), dieci volte di più.
Kachka ha inoltre sottolineato che le importazioni Ue di cereali dalla Russia e dalla Bielorussia – in particolare di grano – sono aumentate dal 2022. Secondo recenti dati Eurostat, la Polonia avrebbe importato circa 12.700 tonnellate di grano russo nel 2023, rispetto alle 6.100 tonnellate del 2022.
“Gli agricoltori polacchi – afferma Kachka – sono in concorrenza con il grano russo sui mercati degli altri Stati membri dell’Unione europea e questo è il problema principale”, ma l’Europa deve gestire anche l’impatto sul settore agricolo nel processo di adesione dell’Ucraina.
L’Organizzazione Mondiale del Commercio, stima le spedizioni di grano attraverso il Canale di Suez diminuite di quasi il 40% nella prima metà di gennaio a causa delle tensioni per gli attacchi e i dirottamenti dei ribelli Houthi che hanno sconvolto il commercio globale del canale di Suez. Secondo Coldiretti da qui transita il 40% del Made in Italy: in particolare, il 16% delle esportazioni di olio di oliva e il 14% del pomodoro lavorato, per un valore di 6 miliardi di euro annui.
A causa dei sabotaggi Houthi, la maggior parte del traffico marittimo da oriente doppia il Capo di Buona speranza e raggiunge i porti europei dall’Oceano Atlantico. Quasi 12mila miglia nautiche in più che fanno lievitare i costi e i premi delle assicurazioni: sulla tratta Shanghai–Genova, oltre il 400% in più, secondo un’analisi di Fit-Cisl.
I ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno approvato il 19 febbraio la missione diplomatico-militare difensiva Aspides per ripristinare la sicurezza marittima nel Mar Rosso e nella parte settentrionale dell’Oceano Indiano.
Aspides – ratificata dal Parlamento italiano il 5 marzo scorso – ha durata di un anno e deve proteggere il passaggio delle navi commerciali, con autorizzazione di aprire il fuoco contro presunti attacchi in acque internazionali.
Francia, Germania, Italia e Grecia hanno aderito alla missione, che resta aperta ad altri paesi, e include quattro navi e un pattugliamento aereo. La marina greca ha il comando strategico, l’Italia quello operativo. Anche il Belgio sembra intenzionato a contribuire.
L’Unione Europea ha già nell’area un’altra missione navale dal 2008, attualmente a guida spagnola ma con comando operativo italiano. Si chiama Atalanta ed è stata varata per proteggere le navi commerciali dalla pirateria a largo della Somalia e del Corno d’Africa.
Nell’area è attiva anche la European Maritime Awareness in the Strait of Hormuz (EMASoH), operativa dal gennaio 2020 tra Oceano Indiano e Golfo Persico, a cui partecipano Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Norvegia e Portogallo.
Poco dopo lo scoppio della crisi in Medio Oriente, gli Stati Uniti hanno messo su una task force navale con diversi Paesi, chiamata Prosperity Guardian. con mandato che consente di attaccare in territorio yemenita come fatto a più riprese dagli Usa e dalla Gran Bretagna.
Nonostante questi sistemi di sicurezza sono stati attaccati a inizio marzo i cavi sottomarine per la trasmissione dati che dall’Oceania passano tramite il Canale di Suez per arrivare in Europa e poi in America.
Secondo AgriCensus, comunque, solo il 4,5% di tutto il commercio globale di derrate agricole secche passa attraverso il Canale di Suez, con un conseguente basso impatto sul trasporto cerealicolo globale.
Tra i Paesi produttori è record di semina di grano duro in Canada dove è prevista una produzione in forte aumento.
Sembra, allora, che nel futuro prossimo avremo produzioni in quantità da holding finanziarie soprattutto straniere e forse una differenziazione dei vari grani con qualità e tipicità da produttori agricoltori medio-piccoli.