Nel 2022 i lavoratori agricoli impiegati nel settore sono stati, in Italia, circa un milione, mentre le aziende del comparto che assumevano dipendenti più di 174 mila, andando a incidere per il 25% sul totale delle imprese attive, iscritte alle Camere di Commercio. Praticamente circa tre quarti delle attività agricole non assumevano dipendenti. Lato manodopera nel settore, solo il 10% del totale risultava a contratto a tempo indeterminato, il restante 90% a tempo determinato. Nel primo caso, lavorando in media 251 giornate, nel secondo solo 90. In sostanza, il 33% dei dipendenti agricoli lo è stato per meno di 50 giornate in un anno. Dati e cifre alla mano, la specificità dell’agricoltura sul fronte lavoro è tutta qui, tra stabilità e saltuarietà degli addetti, in corrispondenza dei cicli produttivi agrari con, quindi, maggiore concentrazione tra primavera e fine autunno.
Le battaglie per i diritti del lavoro agricolo, che riguardano anche il tema della sicurezza nei campi, sono tra le fondamenta di Cia-Agricoltori Italiani, ma è indubbio che negli ultimi anni, in particolare con la pandemia a fare da spartiacque, l’interesse per il riconoscimento del comparto e, quindi, anche dei suoi addetti, sia diventato dirimente e la questione manodopera incalzante, quando lo stesso Covid ha ridefinito sia il peso dei flussi migratori, ma anche il valore delle produzioni agricole, frutto anche di quelle professionalità sempre più difficili da reperire.
Ecco perché, in primo luogo, per Cia è cruciale introdurre politiche per una maggiore semplificazione e flessibilità del lavoro stagionale, che vengano incontro agli interessi dei lavoratori, ma senza oneri eccessivi per le imprese. Serve un’azione più decisa sul Decreto flussi a garanzia anche della sua anima agricola, ma è allo stesso tempo positivo che ci sia stata, lo scorso anno, un’apertura a nuove modalità di programmazione sul lungo periodo, per il triennio 2023-2025, introducendo anche norme che rafforzano gli strumenti di contrasto ai flussi migratori illegali e semplificano le procedure burocratiche, attraverso canali legali dei migranti qualificati. Tutto ciò, non è questione a parte, ma asset strategico di un’agricoltura nazionale di cui va riconosciuta nei fatti la sua centralità, già evidente nella tutela delle aree interne, a salvaguardia del patrimonio di biodiversità e paesaggio, come del Made in Italy agroalimentare che nel 2023 ha raggiunto il valore massimo di sempre, 64 miliardi, un +6% rispetto all’anno precedente.
Dunque, se di crescita del Paese vogliamo parlare, non possiamo esimerci dall’affrontare il tema lavoro, anche in agricoltura, e insistere sulle criticità che emergono anche dai dati su profili e remunerazioni. La presenza femminile, per esempio, che è pari al 32% sul totale degli addetti, è più elevata fra i dipendenti a tempo determinato, circa il 33%. Questi ultimi, inoltre, si caratterizzano per appartenere a fasce d’età più giovani, il 56% ha meno di 45 anni, contro il 41% degli indeterminati, e per una maggiore incidenza della componente di origine non comunitaria, rispettivamente 22% e 17%. E ancora, la manodopera agricola è prevalentemente impiegata nel Sud del Paese, il 53% del totale, che detiene anche la quota più rilevante dei contratti a tempo determinato, il 56%. Viceversa, al Nord si concentra la maggiore incidenza degli addetti con indeterminato.
Per quanto riguarda la manodopera straniera, i lavoratori dipendenti regolari, iscritti all’INPS, in agricoltura sono circa 320 mila, con un’incidenza sul totale addetti agricoli attivi, in Italia, pari al 32%. Il settore detiene una quota rilevante di manodopera straniera presente nel Paese, rispetto agli altri comparti economici privati, l’8% del totale lavoratori non comunitari e l’11% di quelli comunitari. I lavoratori stranieri sono prevalentemente presenti al Nord rispetto al Centro-Sud, il 48% dei comunitari e il 45% dei non comunitari. Anche in questo caso, le donne in maggioranza, grazie in prevalenza alle lavoratrici comunitarie, il 39%.
Gli addetti-operai rappresentano la categoria professionale di dipendenti più diffusa in agricoltura, sono il 97%, quando in altri settori, in cui sono una componente rilevante della forza lavoro, la loro incidenza sul totale dipendenti è inferiore (vedi turismo, costruzioni e manifatturiero rispettivamente all’86%, al 78% e al 64%). Gli occupati in agricoltura incidono per il 12% sul totale nazionale, mentre le relative ore lavorate rappresentano il 6% del totale attività economiche. Le differenti quote sono riconducibili al fatto che la manodopera agricola è per la stragrande maggioranza impiegata con contratto a tempo determinato, il 90%, contro una media nazionale per tutte le attività economiche del 30%. Un altro settore in cui è rilevante la presenza di operai a tempo determinato è il turismo, in cui però la quota di determinati si ferma al 52%.
Infine, il tema della contrattazione collettiva. In agricoltura esiste un sistema “unico” rispetto agli altri ambiti produttivi e presenta meccanismi di funzionamento specifici e su due livelli di contrattazione: nazionale e territoriale. La stipula dei contratti avviene tra organizzazioni sindacali dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro, che stabiliscono le condizioni della prestazione lavorativa (retribuzione, orario, qualifica, ferie, diritti sindacali etc). Tra i diversi sistemi contrattuali, che riguardano a vario titolo il settore agricolo, è sicuramente quello degli operai agricoli e florovivaisti tra i più rilevanti, in particolare per la numerosità dei lavoratori a cui questa tipologia di contratto viene applicata. Il relativo sistema contrattuale è fondato su un ponderato equilibrio tra il primo livello di contrattazione, nazionale – al quale è affidata la regolazione delle relazioni sindacali, dei principali aspetti normativi del rapporto di lavoro, delle aree professionali e dei relativi minimi salariali – e il secondo livello territoriale che segue la disciplina di alcuni aspetti normativi di dettaglio, la classificazione del personale e le relative retribuzioni, nonché le erogazioni legate alla produttività. Si prova così a rispondere all’esigenza che, da sempre, caratterizza il mondo agricolo: definire istituti normativi ed economici del contratto in modo confacente alle differenti e variegate realtà territoriali.