Il riscaldamento globale – raggiunte ormai temperature di1 °C superiori rispetto ai livelli preindustriali – e i cambiamenti climatici che ne derivano stanno fortemente impattando il settore agricolo, compromettendone in molti casi la capacità produttiva. Particolarmente evidenti appaiono gli effetti dei periodi siccitosi, la cui durata è sempre più prolungata a causa dell’aumento delle temperature, e della distribuzione irregolare delle piogge. Un decrescente numero di eventi piovosi viene ormai registrato insieme al forte aumento dell’intensità di ciascun singolo evento.
Osservando i dati del 2022 si può notare che: i) il 47% del territorio europeo è stato affetto da problemi di siccità (la peggiore degli ultimi 500 anni); ii) l’India è stata colpita in primavera da numerose ondate estreme di calore (si è registrato l’aprile più caldo degli ultimi 122 anni); iii) la Cina ha registrato le temperature più alte e le precipitazioni più basse dall’avvio delle prime osservazioni meteorologiche (il più grande bacino d’acqua dolce della Cina, il Lago Poyang, si è quasi prosciugato). Cina, Unione Europea e India risultano i principali produttori mondiali di grano e pertanto le evidenze dell’anno 2022 hanno chiaramente rivelato l’alto rischio dell’impatto dei cambiamenti climatici sulla sicurezza alimentare.
Lo scenario presentato evidenzia la forte necessità di sviluppare strategie agronomiche in grado di massimizzare la produttività dei terreni agricoli incrementando la loro capacità di trattenere l’acqua. Tale obiettivo presenta molteplici effetti sia a scala di campo che di bacino. Difatti l’incremento della capacità del suolo di trattenere l’acqua può ridurre il rischio di siccità nella rizosfera con un aumento dell’efficienza d’uso dell’acqua di pioggia (scala di campo) mentre può ridurre i volumi di runoff e di drenaggio da gestire (scala di bacino).
Un ruolo chiave nel raggiungimento di tali obiettivi viene ricoperto dal contenuto di sostanza organica dei terreni agricoli. Quest’ultima infatti influenza la qualità, la struttura e le proprietà idrologiche del suolo, rappresentando anche una forma di stoccaggio del carbonio atmosferico che aiuta a mitigare il problema dell’effetto serra. La sostanza organica svolge una funzione di buffer in grado di trattenere l’acqua durante gli eventi piovosi rendendola poi disponibile per le piante durante i periodi di siccità. Numerose sperimentazioni sono state condotte per capire se e quanto un suo aumento nei terreni possa alleviare i rischi legati alla siccità riducendo nel contempo il prelievo di acque dai corpi idrici per fini irrigui. Tuttavia, i risultati raccolti hanno dimostrato che gli effetti possono variare in magnitudo nei diversi areali.
Il servizio di conservazione delle risorse naturali del Dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti (USDA) ha quantificato che “per ogni aumento dell’1% della sostanza organica nei terreni coltivati degli Stati Uniti si potrebbe immagazzinare la quantità di acqua che scorre nelle cascate del Niagara in 150 giorni” (https://www.usda.gov/media/blog/2015/05/12/hedge-against-drought-why-healthy-soil-water-bank). Altri studi riportano che l’effetto della sostanza organica è fortemente legato ad altre caratteristiche chimico-fisiche dei terreni.
In tale contesto risulta indispensabile intraprendere studi che possano quantificare gli effetti dell’aumento di sostanza organica nei suoli di differenti areali. Di fronte a questa esigenza è nata una collaborazione tra il Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali e Ambiente (DAFNAE) e il Consorzio di Bonifica del Veneto Orientale (CBVO) con l’obiettivo di sviluppare una strategia agronomica che incrementi il contenuto di sostanza organica dei terreni agricoli e ne migliori le capacità di ritenzione idrica a scala di Bacino (Figura 1 – www.labordocuweb.com/soilbank), tenendo conto delle peculiarità territoriali della regione Veneto. La strategia pensata si basa sull’integrazione di più pratiche, quali: l’utilizzo di fertilizzazione organica (compost o digestato solido); l’inserimento di cover crop invernali (triticale, senape, lolium e segale); e la gestione irrigua (irrigazione o non irrigazione). Le attività di sperimentazione, in corso da quattro anni presso l’Azienda Sperimentale del CBVO, prevedono il confronto fra dieci differenti tipi di integrazione delle pratiche sopra descritte, in una rotazione mais-soia, dove si valutano le prestazioni agronomiche delle colture e gli effetti sulle caratteristiche chimiche e microbiologiche del suolo.
Partendo da uno stock iniziale di carbonio organico pari a circa l’1% nel 2019, a quattro anni dall’avvio della sperimentazione tutte le strategie agronomiche, ad eccezione di una, hanno mostrato un aumento significativo di carbonio organico nei primi 40 cm di terreno (in media +0,13%) con valori compresi tra 2,8 e 10,3 t ha-1. Tale aumento equivale ad una immobilizzazione media annua di CO2 (nei primi 40 cm di terreno) variabile tra 2,6 e 9,4 t CO2 ha-1. La sperimentazione ha inoltre mostrato, dopo quattro anni, un generale aumento del contenuto di azoto organico e nitrati nel terreno, indipendentemente dal tipo fertilizzante organico applicato. Tale risultato ha sottolineato l’importanza dell’introduzione nella rotazione colturale delle cover crop in grado di ridurre il rischio di lisciviazione dei nitrati durante la stagione invernale.
Con riferimento alle colture da reddito, le rese in granella della soia sono state in linea con quelle ottenute in altre aziende dello stesso areale mentre per il mais sono state registrate rese in granella inferiori. Il diverso rendimento tra le due colture può essere giustificato dal fatto che per il mais (appartenente alla famiglia delle Poaceae) la mancata corrispondenza tra il ritmo di rilascio dell’azoto da parte dei fertilizzanti organici e la curva di assorbimento da parte della coltura ha ridotto le rese, mentre per la soia (appartenente alla famiglia delle Fabaceae), la capacità di azoto-fissazione ha sopperito alla scarsa disponibilità di azoto minerale.
Le attività di ricerca, ancora in corso, proseguiranno nei prossimi anni. Nello specifico si valuterà l’evoluzione del contenuto di sostanza organica del terreno nel medio-lungo periodo, analizzando l’effetto idrologico di questo incremento, mentre si punterà ad ottimizzare la gestione nutrizionale del mais.
Figura 1. Vista aerea di parte del sito sperimentale dopo la distribuzione delle matrici organiche (compost e digestato), prima dell’interramento.