In un contesto macroeconomico globale assai complicato dagli effetti dei mutamenti climatici, dai conflitti bellici in atto, dalla minaccia di nuovi scenari di guerra, dalle ondate di una sempre latente crisi energetica, dal peso sociale derivante dalle tensioni inflazionistiche e, non da ultimo, dal rischio di un collasso finanziario a rapido contagio internazionale, innescato dall’esplosione della bolla debitoria del settore immobiliare, con un evidente riferimento a quello cinese segnato dalla crisi dei due giganti nazionali del comparto (Evergrande e Contry Garden), anche l’Europa e l’Italia devono fare i conti con un rallentamento della propria economia.
Nell’eurozona, vista l’incidenza dei rialzi dei tassi sull’economia dalla seconda metà del 2022, il 26 ottobre scorso la presidente della Banca centrale europea ha annunciato la decisione di lasciare invariati i tre tassi di riferimento della Bce.
Già altre principali Banche centrali in autunno avevano optato per una pausa, come la Fed che ha mantenuto i tassi invariati annunciando minori tagli per il 2024-25.
“Le nuove informazioni – dichiara Christine Lagarde – hanno confermato sostanzialmente la valutazione precedente circa le prospettive di inflazione a medio termine. Ci si attende tuttora che l’inflazione resti troppo elevata per un periodo di tempo troppo prolungato; inoltre perdurano le forti pressioni interne sui prezzi. Al tempo stesso, l’inflazione ha registrato un netto calo a settembre, ascrivibile anche ai forti effetti base, e gran parte delle misure dell’inflazione di fondo ha continuato a diminuire. I passati aumenti dei tassi di interesse seguitano a trasmettersi con vigore alle condizioni di finanziamento, frenando in misura crescente la domanda e contribuendo pertanto alla riduzione dell’inflazione”.
Pertanto i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale rimarranno invariati rispettivamente al 4,50%, al 4,75% e al 4,00%.
Per il 2025, la Bce si aspetta che l’inflazione torni vicino alla soglia attesa: 2,1%, e già a settembre 2023, nell’eurozona l’inflazione si è ridotta al 4,3%: livello inferiore di quasi un intero punto percentuale rispetto ad agosto.
Il potere d’acquisto delle famiglie misurato dall’Istat è in contrazione, il reddito pro-capite diminuisce perché il salario reale non segue più l’inflazione e il Pil pur mantenendosi in crescita rallenta rispetto al 2022; tutto questo – unito all’aumento del costo del denaro dovuto all’aumento dei tassi di interesse – si ripercuote sul mercato immobiliare e si aggiunge a fattori geopolitici vecchi e nuovi.
Le accresciute tensioni internazionali col perdurare della guerra Russia-Ucraina e il recente conflitto innescato dagli attacchi terroristici in Israele potrebbero sospingere al rialzo i prezzi dell’energia nel breve periodo, rendendo più incerte le prospettive di medio termine.
Di conseguenza, imprese e famiglie potrebbero perdere fiducia e nutrire maggiore incertezza riguardo al futuro, sia verso gli investimenti sia verso i consumi più durevoli, cosicché la crescita potrebbe indebolirsi ulteriormente anche depressa dai più aspri criteri di concessione di prestiti a imprese e famiglie adottati dagli istituti bancari. D’altra parte, le banche nutrono maggiori timori circa i rischi a cui è esposta la clientela e reagiscono alimentando la propria caratteristica caratteriale di avversione a rischi nuovi o anche ad un incremento di quelli vecchi. Anche per questo il settore immobiliare non ha performance brillanti neanche in Europa.
Al momento, la bolla immobiliare preoccupante per la sua potenziale deflagrazione è sicuramente quella esplosa in Cina. I giganti dell’immobiliare cinese – con un settore che vale circa il 28% Pil – per decenni hanno costruito a debito sperando di ripagare i creditori con la vendita degli appartamenti, invece stanno fallendo, sommersi da montagne di yuan di passività. L’economia in Cina nel suo complesso sta subendo un rapido declino, fin sull’orlo della deflazione: ripresa lenta post-Covid, import ed export in calo, disoccupazione giovanile da record, immobili pignorati che crescono facendo aumentare il rischio di insolvenza dei mutui.
Secondo le stime preliminari dell’Istat, in Italia, nel secondo trimestre del 2023, prosegue la fase di rallentamento della dinamica tendenziale dei prezzi delle abitazioni, scesa allo 0,7%, dal +5,2% del secondo trimestre del 2022.
La nuova decelerazione risente essenzialmente del rallentamento dei prezzi delle abitazioni nuove, il cui tasso di crescita si attesta allo 0,5%. Al livello territoriale, l’evoluzione su base annua dei prezzi delle abitazioni risulta in controtendenza, con i prezzi in crescita al Nord (con Milano in testa) e in flessione al Centro e nel Sud e Isole.
Il rallentamento su base annua dei prezzi delle abitazioni, nel secondo trimestre del 2023, si manifesta in un contesto di nuovo calo (il terzo consecutivo) dei volumi di compravendita degli immobili residenziali, con un meno 16% tendenziale registrato nel secondo trimestre 2023 dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate dopo il meno 8,3% del trimestre precedente.
Il Consiglio Nazionale del Notariato il 17 ottobre scorso ha pubblicato i Dati statistici Notarili (DSN) che ha rilevato sull’andamento del mercato immobiliare e dei mutui in Italia nel primo semestre 2023, insieme a un focus su 9 grandi città.
In sintesi, si è registrato un calo delle compravendite di abitazioni pari a meno 8,7% (da 303.375 a 277.052) rispetto allo stesso periodo del 2022 e dei mutui per l’acquisto della casa con un meno 29,5% rispetto allo stesso periodo del 2022.
“Nonostante il calo del volume generale delle transazioni immobiliari (Milano -8,4%; Torino -3,4%; Verona -3,7%; Bologna -4,6%; Firenze -10,3%; Roma -9,6%; Napoli -7,3%; Palermo -0,3%; Bari -12,4%), nelle grandi città il trend delle compravendite di seconde case è risultato migliore di quelle relative alla prima casa che talvolta chiude in positivo”, si legge nel documento del Notariato. “A Torino, per esempio, le transazioni di seconde case tra privati hanno segnato un +5,3% a Verona + 0,5% a Bologna +0,9% a Napoli +4,9%, a Palermo +12,2%”. Il quadro si completa con l’analisi dell’erogazione dei mutui: -26,4% a Milano; -31,5% a Torino; -25,6% a Verona; -30% a Bologna; -32,6% a Bologna, -29,1% a Roma; -31,4% a Napoli; -33,6% a Palermo; -28% a Bari.
Il mercato immobiliare, sempre secondo i dati del Notariato, per la fine del 2023 subirà il calo degli acquisti del 10,5% e dei mutui del 23,8%, mentre a giugno le stime di Nomisma per il 2023 indicavano il numero di compravendite immobiliari con un calo complessivo del 14,6% rispetto al 2022, ma con indicazioni contrarie per il mercato delle locazioni, in continua crescita.