Il Consiglio dei ministri del 28 marzo 2023, ha approvato, con procedura d’urgenza, un disegno di legge che introduce disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di carne sintetica al fine di tutelare la salute umana e il patrimonio agroalimentare.
Secondo alcuni scienziati il termine “carne sintetica” tende a snaturare la vera origine di questa carne, dal momento che il termine sintetico, a loro parere, qualifica il prodotto di un processo di sintesi che avviene al di fuori di un organismo vivente e, conseguentemente, ritengono più appropriata la definizione di “carne coltivata”, considerato che la specifica produzione nasce a partire da cellule animali che vengono prelevate tramite una biopsia e fatte crescere in laboratorio ove si provvede alla loro “coltivazione” in una soluzione, denominata “terreno”, ricca di nutrienti ed altre componenti chimiche addizionali.
Dopo la crescita, queste cellule staminali si differenziano in una cellula muscolare e dalle singole cellule, messe insieme, si costituisce un tessuto che darà origine al prodotto finito. Questa simil-carne, molto simile al macinato viene poi compattata modellata nell’aspetto utilizzando una stampante 3D. L’ultima fase è poi quella della conservazione sottovuoto.
Lo strumento utilizzato per controllare la temperatura, mantenere in vita le cellule e rifornirle di nutrienti è il bioreattore.
Anche se non si conoscono ancora gli effetti a medio-lungo termine sulla salute umana e sull’ambiente, la produzione della carne sintetica viene proposta esaltandone le virtù etiche rispetto alla disumanità e alla insostenibilità ambientale degli allevamenti intensivi. Altro vantaggio pubblicizzato è poi l’aspetto demografico, visto che nel mondo le persone da sfamare sono in aumento.
All’attuale stato di conoscenza, secondo il rapporto congiunto Fao-Oms, la produzione di carne coltivata non presenta rischi noti per la salute, quali ad esempio allergie e cancro, ed è quindi importante valutare attentamente se gli alimenti a base cellulare aiuterebbero a fornire alimenti sani, nutrienti e sostenibili, riducendo allo stesso tempo gli impatti ambientali.
Dal punto di vista della capacità nutrizionale, comunque, la carne sintetica ancora lascia ampi dubbi, come quelli che peraltro sussistono per gli alimenti ultra-processati, seppure non sintetici.
L’analisi degli effetti ambientali del settore agroalimentare, evidenzia che la produzione di carne è il comparto più impattante in termini di inquinamento, sebbene alquanto lontano dalle conseguenze riconducibili ad altri settori produttivi (Industria e trasporti). L’agricoltura e l’allevamento, soprattutto europee e italiane, sono peraltro le più virtuose del mondo per sostenibilità e salubrità, producono seguendo rigorosi ed efficaci protocolli per il benessere animale, ambientale e sociale. A fronte di ciò purtroppo ci sono grandi quantitativi di alimenti che importiamo da paesi che hanno standard ambientali, di salubrità e sociali più bassi dei nostri e quindi penalizzano con il dumping ambientale, e quindi con la concorrenza sleale, il mercato europeo: i trattati commerciali, d’altra parte, sono spesso improntati all’eliminazione delle barriere tariffarie e non alla reciprocità per la salvaguardia della salubrità ambientale e sociale, compreso il patrimonio di welfare costruito in Europa attorno ai sistemi agroalimentari.
E nonostante tutto ciò le istituzioni europee chiedono sempre nuove regole nel nome del benessere animale e umano.
Va considerato poi che se le regole valgono solo in Europa, come col piano del Green Deal, il nostro diventerà il primo continente neutrale dal punto di vista delle emissioni entro il 2050, e con l’ulteriore riduzione dell’uso di fertilizzanti chimici, pesticidi in agricoltura e di antibiotici negli allevamenti entro il 2030, si finirà per incentivare le produzioni laddove sono minori le regole di contrasto all’inquinare e a deforestare e paradossalmente aumenterà il gap di standard già esistente tra Europa e resto del mondo. Oltre alla conseguente contrazione dell’autosufficienza europea e all’incremento del livello di rischiosità nei nostri cibi e quindi della nostra salute.
Oltre ad essere fondamentale per la salute pubblica, il cibo è strategico in termini di giustizia sociale, sviluppo territoriale e per la tutela dell’ambiente.
Sul piano socio-economico, abolire gli allevamenti intensivi comporta la necessità di riallocare le persone attualmente impiegate con adeguate politiche di riconversione occupazionale e la necessità di importare carni da paesi extracomunitari.
Secondo i dati Fao nel 2050 la popolazione mondiale supererà i 9 miliardi e aumenterà la crescita della domanda di cibo e la crescita del consumo di carne che dovrebbe raddoppiare.
Le Prospettive agricole Ocse/Fao 2018/2027, indicano a livello mondiale che nell’ultimo decennio si è registrata una crescita notevole del consumo globale pro-capite di pollame (+16%), mentre il consumo pro-capite di carni bovine è diminuito di quasi il 5% tra il 2008 e il 2017. Per il prossimo decennio, si prevede un aumento del 5,5% del consumo pro-capite di pollame (in genere la carne meno costosa) e una ripresa del consumo di carni bovine, in particolare in Cina, con una crescita del 3,5%.
Si stima un consumo totale di carne e pesce in aumento del 15%, mentre il consumo pro-capite di carne e pesce solo del 3%, con forti variazioni da una regione all’altra. La crescita maggiore del consumo totale è prevista nell’Africa subsahariana (+28%) dovuto agli effetti della crescita demografica; mente il consumo pro-capite dovrebbe diminuire del 3%. La crescita del consumo pro-capite dovrebbe invece essere più elevata in India (+12%) e in Cina (+13%).
Per quanto riguarda la carne, il consumo pro-capite crescerà maggiormente in termini assoluti nei Paesi sviluppati (+2,9 kg/capite), grazie anche alla riduzione dei prezzi.
Esiste quindi un crescente divario con i Paesi in via di sviluppo, dove il consumo aumenterà solo di 1,4 kg/abitante, in parte dovuta a limiti di reddito, a problemi legati alla catena di approvvigionamento e, in alcune regioni, alla preferenza di fonti proteiche diverse dalla carne.
I Paesi asiatici di questo gruppo dovrebbero consumare più carne, mentre l’Africa subsahariana dovrebbe registrare un calo del consumo pro-capite di carne e pesce.
Il consumo pro-capite di carni suine rimarrà stabile a livello mondiale, ma si prevede una forte crescita nelle regioni e nei Paesi in cui la carne suina è più richiesta, come l’America Latina e le Filippine, la Tailandia e il Vietnam.
Le carni ovine resteranno un mercato di nicchia nella maggior parte dei Paesi, nonostante una crescita del consumo pro-capite dell’8% per il periodo esaminato dalle Prospettive, concentrata soprattutto in Cina e in altri Paesi asiatici, dove le abitudini alimentari si stanno diversificando.
Nel sondaggio sull’Italia svolto dal Crea del novembre scorso, con riguardo il consumo di carne rileva che: il 48,5% assume quella rossa 1-2 volte/settimana e il 33% meno di una volta/settimana, mentre il 46% mangia quella bianca 1 volta o meno/settimana e il 40% 2-3 volte/settimana. Da notare, che il 65% è propenso a ridurne le quantità, da sostituire con legumi/prodotti a base di legumi (84%), pesce (67%), uova (46%), i cereali e i loro prodotti derivati (33%), i formaggi (26%), funghi e derivati (17%) e alghe e derivati (9%). Quindi fra i prodotti alternativi alle proteine animali prevalgono i derivati da legumi – burger, polpette, pasta – e il 65% li ha consumati in passato o li consuma.
Per quanto riguarda fonti proteiche lontane dalla nostra tradizione, prevale la diffidenza: solo il 30% degli intervistati assaggerebbe farina di insetti (il dato precipita addirittura all’8% se si parla di insetti interi), mentre si scende ancora al 25 % se si parla di disponibilità a provare la carne sintetica.
La carne realizzata in laboratorio è già legale e in produzione negli Stati Uniti, a Singapore e in Israele.
In Italia nel 2019 è nata Bruno Cell, la prima start up nazionale focalizzata interamente sulla “carne colturale”, dalla collaborazione tra accademici e un investitore privato proveniente dall’industria alimentare.
Nel rapporto pubblicato dalla Fao e dall’Organizzazione Mondiale si evidenzia che il termine “cibi sintetici” è utilizzato in ambito accademico oltre che dai media anche se la definizione considerata più chiara dalle due autorità mondiali è quella di “cibo a base cellulare”, preferibile rispetto al termine “coltivato” utilizzato invece dalle industrie produttrici, ma ritenuto fuorviante. Peraltro nel Rapporto pubblicato si ritiene anche discutibile usare per questi prodotti i termini carne, pollo o pesce.
(Giuseppe Peleggi, Giovanna Mellano)