di Giovanni Lo Storto, Direttore Generale Università Luiss Guido Carli
Parto giocando anche io con una “R”: non “Rilancio” o “Resistenza”, ma “Respiro”.
Il PNRR potrebbe quindi diventare il PNRRR: Piano Nazionale di Ripresa, Resilienza e Respiro, cioè provando a far respirare la nostra voglia e volontà di costruire un Paese nuovo.
Partiamo dal concetto di formazione. Come dice il Prof. De Masi, siamo in una epoca di maggiore scolarizzazione. Questo è vero guardando le cose come sapientemente fa il Professore, cioè con una lente larga sui processi storici che durano molti e molti decenni. Se oggi confrontiamo il nostro Paese con le altre economie, possiamo essere meno preoccupati di quanto lo siamo stati negli ultimi decenni.
Detto questo, però, non possiamo non essere preoccupati: il nostro Paese è il penultimo in Europa per numero di laureati nella fascia 25-34 anni. È la fascia che testimonia la nostra capacità di essere produttivi e, proprio in questa fascia, abbiamo un numero di laureati che ci vede penultimi, avanti solo alla Romania. È evidente che questo è un problema “monster”, rispetto al quale dobbiamo seriamente impegnarci.
C’è però anche un altro numero su cui dovremmo riflettere e che ha citato il Governatore della Banca d’Italia nelle sue considerazioni finali di quest’anno.
I cosiddetti NEET, acronimo che sta per Neither in Employment or in Education or Training, ovvero ragazze e ragazzi che hanno un’età a cavallo dei 20 e 30 anni, che non hanno un presente e non si stanno preparando per nessun futuro.
Se andate in un luogo e trovate 12 ragazzi, 3 di loro sono NEET.
Queste considerazioni devono impressionarci perché, negli ultimi decenni, non abbiamo mai avuto il coraggio di mettere seriamente al centro la formazione. E con “noi” non intendo la politica o la classe manageriale, ma i genitori.
Quanti di voi hanno sentito ripetere la frase “ma che te ne fai del pezzo di carta”. L’abbiamo ascoltata più volte e abbiamo commesso tutti un peccato di omissione. Abbiamo omesso una reazione forte che avremmo dovuto avere.
Alan Kay ci dice che è tecnologia tutto ciò che arriva dopo la nostra nascita. Gli occhiali da vista furono, ad un certo punto della storia dell’uomo, tecnologia, perché prima della loro invenzione chi non li possedeva era escluso dal mondo produttivo e dalla vita sociale attiva.
A un certo punto sono arrivati, ma nessuno di noi oggi pensa agli occhiali da vista come un oggetto tecnologico.
Allo stesso modo, pochissimi dei nostri figli penseranno che il PC, lo smartphone o l’intelligenza artificiale sono tecnologie. Per loro sono solo una commodity di relazione e di costruzione di comportamenti.
In una economia che quindi si fa sempre più specializzata ed evoluta nella sua necessità di doversi confrontare con la tecnologia, noi adulti possiamo fare davvero poche cose importanti. La prima, urgentissima, è essere “the adults in the room”, e cioè non permetterci mai più di sottovalutare la formazione o far pensare ai ragazzi che la formazione sia qualcosa rispetto alla quale si possa abdicare.
Abbiamo avuto il coraggio sfrontato di far sfiorire tutte le scuole di formazione di qualsiasi ordine e grado. Abbiamo trattato la formazione di tutti i livelli con l’ultimo dito della mano sinistra, senza essere mancini. Ecco, tutto questo ha una durata breve. Vogliamo davvero fornire ai più giovani quella famosa chiave che permetterà loro di aprire la porta della motivazione.
Quando sentiamo dire che i ragazzi dovrebbero scegliere gli indirizzi di studio sulla base delle statistiche che vengono pubblicate circa i settori che assumono di più, dobbiamo prestare molta attenzione.
Sapete quando viene approvato un percorso di studi? Nell’anno 0. Poi viene approvato nell’anno 1 o 2, se va bene. Proposto e promosso nell’anno 3 e scelto nell’ anno 4. A quel punto termina dopo 5 anni di studio. I laureati arrivano, quindi, nell’anno 9 ed entreranno nel mercato del lavoro nell’anno 10. Qualcosa che è pensato nell’anno 0 è a disposizione del mercato del lavoro nell’anno 10.
Quanto è cambiato il mercato del lavoro di oggi rispetto a quello del 2011 e quanto cambierà il mercato del lavoro del 2031 rispetto a quello di oggi? Basterebbe riflettere su questo per capire quanto sia centrale la formazione.