di Paolo Pellegrini – Vice Direttore Mefop
La pensione anticipata con quota 100, introdotta in via sperimentale per tre anni con il decreto legge n. 4/2019, sembra avviarsi al tramonto definitivo con il prossimo mese di dicembre. A quanto si legge, infatti, pare al momento scartata la previsione di una proroga.
In vista del superamento di quota 100 e dello “scalone” che verrebbe a crearsi, molte sono le ipotesi di riforma di cui si è discusso. Anche se i relativi negoziati hanno subito un rallentamento a seguito del cambio di Governo, è probabile che il confronto con le Parti Sociali riprenda presto per giungere a proposte di riforma da inserire nella Legge di Bilancio 2022 o comunque in provvedimenti ad essa collegate. Di certo l’esigenza di garantire forme di flessibilità in uscita è quanto mai avvertita stante le difficoltà del mercato del lavoro che l’epoca pandemica ha contribuito ad acuire. In attesa di sapere quale proposta si trasformerà in norma di legge, ecco un breve resoconto delle ipotesi emerse.
Una proposta già prospettata lo scorso anno è quella di una Quota 41 generalizzata, cioè svincolata da ulteriori requisiti. Va ricordato infatti che oggi quota 41 è appannaggio esclusivo dei lavoratori precoci (cioè di coloro che possono vantare almeno 12 mesi di lavoro prima dei 19 anni), dei lavoratori gravosi, dei c.d. caregivers e dei disoccupati privi di ammortizzatori sociali. Altra ipotesi al vaglio è la c.d. Quota 102 che corrisponderebbe ad una rivisitazione di quota 100, prevedendosi l’aggiunta di due anni al requisito anagrafico, accessibile pertanto con 64 anni di età e 38 di contributi. Una soluzione che vorrebbe rappresentare un sostegno per le categorie previste per quota 41 e per l’Ape sociale nonché per le donne è la c.d. Quota 92 accessibile con 62 anni di età e con 30 anni di contributi: in tal caso il pensionamento anticipato sarebbe riservato solo a chi svolge lavori gravosi e alle lavoratrici donne, a condizione di accettare il ricalcolo dell’assegno previdenziale interamente con il sistema contributivo.
Nel frattempo all’interno del Decreto sostegni bis (DL 73/2021), all’art.39, ha già trovato attuazione il c.d. scivolo Orlando che mira ad ampliare la platea di lavoratori che possono accedere ai contratti di espansione riducendo la soglia minima per l’accesso allo scivolo pensionistico da 250 a 100 dipendenti. Si tratta quindi di un potenziamento dei contratti di espansione per consentire il pensionamento anticipato su base volontaria ai lavoratori fino a 5 anni prima (60 mesi) dei requisiti ordinariamente richiesti per la pensione di vecchiaia o anticipata. L’iniziativa dovrebbe essere formalizzata con accordo da siglare presso il Ministero del Lavoro tra azienda e sindacati, con l’individuazione anche di un certo numero di nuove assunzioni qualificate e con obiettivi di reindustrializzazione e riorganizzazione in ottica di sviluppo tecnologico dell’attività.
Analoga proposta, sul versante del pubblico impiego, è quella avanzata dal Ministro Brunetta che riguarda lo scivolo di 5 anni per i dipendenti della pubblica amministrazione. Si tratterebbe di una misura che consentirebbe ai dipendenti pubblici di accedere alla pensione a 62 anni, secondo un meccanismo simile a quello messo in atto con l’isopensione, oggi consentita ai soli dipendenti del settore privato, essendo l’anticipo interamente a carico del datore di lavoro. Nel caso dei dipendenti pubblici, però, si parla di possibili penalizzazioni sull’assegno (sembrerebbe che la proposta comporti il calcolo interamente contributivo). Altre ipotesi, a dire il vero non molto accreditate, riguardano il ricalcolo contributivo generalizzato dell’assegno in caso di pensionamento anticipato. Vi sono poi proposte di anticipo generalizzato del pensionamento a 62 anni di età, ma richiedono risorse finanziarie a sostegno.
Analoghi problemi di costi comporterebbe la proposta del presidente INPS, Pasquale Tridico, per un pensionamento scaglionato, diviso in due quote, vale a dire in via anticipata al raggiungimento di 62-63 anni per la sola parte corrispondente al montante soggetto a calcolo contributivo, per poi integrare l’assegno con la componente retributiva alla maturazione del requisito anagrafico previsto per la pensione di vecchiaia. Sempre dal Presidente Inps provengono proposte di tutela per i più fragili come la proposta che mira ad introdurre una misura sperimentale di scivolo a 62-63 anni nella fase post Covid per gli immunodepressi e i pazienti oncologici nonché ad un rafforzamento dell’Ape sociale. Sempre secondo Tridico si potrebbe, inoltre, studiare un sistema per concedere un anno in meno di contributi per ogni figlio e un anno in meno ogni 10 per i lavoratori usuranti.
Tante quindi le ipotesi di riforma, alcune più accreditate di altre, di cui risultano incerti i dettagli e i tempi di sviluppo. In questo momento è molto difficile capire quali potranno trovare attuazione, ma è improbabile che il superamento di quota 100 non sia accompagnato da qualche nuova forma di flessibilità in uscita. Un dato però va sempre preso in considerazione: anticipare l’uscita, ora che la pensione post 1.1.2012 è contributiva per tutti, significa accumulare meno montante ed avere un coefficiente meno favorevole, in quanto si va in pensione essendo più giovani. Questo comporta che il tasso di sostituzione del primo pilastro sarà più contenuto e riporta ancora una volta la nostra attenzione sulla necessità di arrivare alla pensione con proprie risorse, adeguate per integrarla. Aderire per tempo a un fondo pensione e contribuirvi a sufficienza è importante anche per potersi permettere le flessibilità di uscita che il legislatore potrà concedere.
[1] Pur essendo sperimentale, va ricordato che chi matura i requisiti entro dicembre 2021 potrà accedere al pensionamento anticipato con i requisiti di quota 100 anche nel 2022 e negli anni a venire, anche prima di aver maturato altri requisiti di accesso alla pensione.