di Stefano Mantegazza, Segretario Generale Uila Uil
La Uila in più occasioni ha avuto modo di sottolineare il proprio giudizio negativo sul “Recovery Plan” proposto dal Governo Conte, criticandone sia la forma, ovvero il mancato coinvolgimento delle parti sociali, che i contenuti. L’attuale Governo ha convocato immediatamente le parti sociali dichiarando di volerle coinvolgere nel percorso decisionale. Una scelta di buon senso che andrà verificata giorno dopo giorno, mentre sul fronte dei contenuti ci aspettiamo dal presidente del Consiglio novità importanti.
L’Italia, infatti, è ultima nella classifica della capacità di spesa dei finanziamenti europei e la sfida che abbiamo davanti è quasi impossibile. Facendo due conti, il bilancio ordinario dell’Unione Europea è di circa 150 miliardi di euro all’anno (1,04% del Pil) e il nostro paese ne paga annualmente 15 e ne riceve con i fondi strutturali circa 10, ma negli ultimi 20 anni di quei 10 mld disponibili non siamo stati capaci di spenderne più del 50%, ovvero complessivamente non siamo stati capaci di spendere circa 100 miliardi di euro. Oggi, i fondi europei disponibili per l’Italia ammontano a circa 370 mld di euro (209 Recovery Fund, 36 Mes sanità, 20 Sure, 20 Bei, 35 miliardi ancora non spesi sul bilancio ordinario 2014-2020 e 50 del nuovo bilancio 2021-2027); se non siamo stati capaci di spendere 100 miliardi di fondi europei negli ultimi vent’anni, non saremo in grado di spenderne tre volte di più in sei anni a meno che non si rivoluzioni completamente il sistema.
A questo punto, però, spetta al Governo Draghi individuare la strada per spenderli tutti, presto e bene e ci auguriamo, inoltre, che riesca a indirizzare la maggior parte delle risorse che arriveranno dall’Europa, verso nuovi progetti, immediatamente cantierabili e capaci di generare, da subito, più valore economico, sociale e ambientale. Una scelta essenziale che ne sottende una seconda altrettanto importante: garantire che questi investimenti siano efficaci e abbiano una resa di alta qualità, utile a far uscire il paese dalla crisi.
L’ulteriore debito che il Paese sta per contrarre deve essere un “debito buono”, che consenta una ripartenza, con più giovani e donne al lavoro e che sia volàno di una crescita perché solo con un forte incremento del Pil potremo ridurre l’enorme deficit causato da due anni di pandemia e dalle ingenti risorse europee in arrivo. Inoltre, siamo convinti che non si possa pensare di rilanciare il paese, con progetti da realizzare per 200 miliardi, senza porsi il problema della professionalità del lavoro necessario a realizzarli. Sarebbe drammatico avere risorse e progetti cantierabili e scoprire di non avere i lavoratori necessari perché non si è provveduto ad allineare le competenze con i nuovi fabbisogni chiesti dalle imprese.
È necessario, quindi, finanziare un gigantesco piano di formazione rivolto, in particolare, ai disoccupati di oggi, con un occhio più attento ai giovani e alle donne e poi a tutte quelle persone che rischiano di esserlo domani, proprio per mancanza di competenze necessarie. Sarà anche l’occasione per ripensare il funzionamento di tutte le politiche attive del nostro paese che vanno messe nelle condizioni di formare e accompagnare verso nuovi lavori i tanti disoccupati creati dalla recessione dovuta al Covid.
Queste ci sembrano le premesse per creare, già in questo 2021, le condizioni per far ripartire la crescita, creare nuova occupazione e ridurre il rapporto debito pubblico – Pil.
Un primo segnale di discontinuità col passato, il nuovo governo può darlo “anticipando da subito” il piano per le politiche attive, previsto nel Recovery, che nel programma specifico “React-Eu” rende immediatamente disponibili 1,5 miliardi (sui 9 totali destinati alle politiche attive), una cifra che potrebbe salire se il governo volesse, come ci auguriamo, rimodularla. Dovrebbero altresì essere introdotte specifiche linee di azione atte a favorire, in modo rapido, trasparente e semplificato, l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro agricolo, attraverso il coinvolgimento delle Parti Sociali e dando piena attuazione alla Legge 199/2016 per porre un ostacolo efficace al proliferare del Caporalato nelle nostre campagne che, ancora oggi, costituisce una vera e propria piaga del sistema agricolo italiano.
Nell’ambito della disciplina in materia di aiuti di Stato, andrebbe poi valutata la possibilità di innalzare i massimali previsti per gli aiuti destinati al settore agricolo inserendo, al contempo, una condizionalità forte legata all’eticità del lavoro impiegato e, di conseguenza, al rispetto delle norme e dei contratti collettivi di lavoro.
Per le imprese del comparto agroalimentare, dei Consorzi di Bonifica, della pesca e dell’acquacoltura, andrebbero introdotte misure specifiche per promuovere e favorire l’innovazione tecnologica, il trasferimento di “know how” dai centri di ricerca alle aziende, l’ammodernamento di macchinari e impianti. A questo, deve essere affiancato un piano straordinario di formazione 4.0, che possa, anche tramite il coinvolgimento dei Fondi di Formazione continua, implementare le competenze delle lavoratrici e dei lavoratori del settore al fine di renderli adeguati allo svolgimento delle nuove mansioni. Nel “Piano Nazionale Borghi” dovrebbe essere esplicitamente previsto il coinvolgimento delle strutture agrituristiche e delle locali filiere nate intorno alle produzioni locali di qualità, anche per favorire il rilancio delle aree interne e rurali, promuovendo l’occupazione e contrastandone lo spopolamento. Siamo inoltre convinti che sia necessario realizzare agriasilo e fattorie didattiche, in modo da favorire il conseguimento dell’obiettivo di incremento del tasso di occupazione e di sostegno al lavoro femminile, in particolare, nelle aree rurali. Risorse aggiuntive, rispetto ai 2,5 miliardi già previsti, dovrebbero essere stanziate per quanto riguarda l’“Agricoltura sostenibile” per sostenere, tramite la combinazione di incentivi a fondo perduto e agevolazioni di carattere fiscale, investimenti diretti a promuovere: il biometano agricolo, da destinare ai trasporti e/o ai diversi mercati energetici, anche attraverso la riconversione degli impianti biogas esistenti; il rinnovo del parco mezzi circolanti, puntando alla meccanizzazione verde, all’agricoltura di precisione e all’immissione di macchinari di nuova generazione che consentano di incrementare la sostenibilità ambientale e climatica delle produzioni agricole; l’impiego della biomassa per la produzione di energia; la bioeconomia circolare e la chimica verde per aumentare la sostenibilità delle pratiche agricole; la produzione di energia idroelettrica anche attraverso il coinvolgimento dei Consorzi di Bonifica. A questo proposito le opportunità di investimento previste, tra cui gli interventi di manutenzione straordinaria del territorio, dovrebbero essere estese anche al sistema irriguo valorizzando l’attività svolta dai Consorzi di Bonifica e dai lavoratori in essi occupati. Non possiamo, infine, dimenticare un potenziamento degli interventi diretti a promuovere la parità di genere e lo sviluppo del lavoro femminile. In quest’ottica, andrebbe favorito anche l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro attraverso la costruzione di percorsi volti al ricambio generazionale e prevedendo, in agricoltura, modalità semplificate per il loro accesso ai terreni agricoli.
In conclusione, vogliamo sottolineare l’importanza del coinvolgimento delle Parti Sociali nel sistema di governance che sarà messo in campo per l’attuazione del Piano, al fine di poter svolgere un ruolo di verifica e monitoraggio costante dei risultati raggiunti.